lunedì 25 ottobre 2010

-STEREOTIPI E DISABILITA' AL FEMMINILE- di Betty Giromella

Nella società cosiddetta moderna e tecnologica , come quella in cui viviamo, gli stereotipi umani trovano una precisa collocazione perché l’immagine che ogni individuo offre di se, costituisce il suo biglietto da visita per entrare di diritto a far parte della comunità considerata dai più civile, ordinata ed organizzata in gerarchie di potere, ma, purtroppo, non inclusiva per quei soggetti che sono apparentemente diversi dagli altri, per certe caratteristiche, o limitazioni fisiche o psichiche di entità variabile come le persone affette da disabilità. Quest’ultime, proprio per le loro peculiarità non risultano rispondenti in toto, a quei canoni estetici o comportamentali, riconosciuti a torto, come elementi cardine dell’essere umano.
Se proviamo invece ad immergerci nel variegato mondo della disabilità, e lo facciamo partendo dal presupposto che l’oggetto da considerare è, prima di tutto “ persona “ e non un qualcosa di totalmente estraneo dai parametri classici che contraddistinguono e definiscono l’individuo “ Normodotato” termine sinonimo di” Normale”, possiamo comprendere che la nostra forma mentale condizionata dal pregiudizio, dallo stereotipo crea la vera diversità, in una visione prospettica destabilizzante, e non certo come valore di arricchimento per la società stessa.
All’interno di questa realtà complessa, e di non facile interpretazione, la donna affetta da disabilità, si deve spesso confrontare con un atteggiamento discriminante ancora più marcato, perché la figura femminile, sin dagli albori della sua identità storica, ha sempre racchiuso in se vari ruoli, tra i quali il più importante in assoluto, è quello della procreazione e cura parentale, che presuppongono comunque un’efficienza fisica di un certo tipo.Se poi, a tutto questo aggiungiamo, la difficoltà di approccio che la maggior parte delle persone, manifestano di fronte ad un corpo di donna violato dalla malattia e, reso pertanto poco armonico rispetto ai canoni di bellezza riconosciuti dall’attuale società, e riproposti quotidianamente dai mass media, da varie riviste patinate e dai non pochi cultori della chirurgia estetica, ci rendiamo conto che siamo ancora lontani dalla costruzione di una società veramente a misura d’uomo e donna…
Dal mio punto di vista di donna affetta da disabilità, che vive il problema, ormai da tantissimo tempo, mi sento di affermare che al di la di un percorso di vita accidentato, sarebbe oltremodo importante mettere in giuoco le proprie potenzialità, per quanto esigue siano, al fine di contrastare e rendere discutibile e modificabile un assunto collettivamente riconosciuto giusto e, pertanto, inopinabile. Muovendoci in questa direzione, probabilmente, potremo annullare la distanza che c’è fra ciò che è visibile a ciò che rende un individuo cosciente di se stesso.

Elisabetta Giromella

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