lunedì 13 aprile 2009

TESTAMENTO BiOLOGiCO







"Testamento Biologico"

di Alvaro Innocenti, saggista Pistoiese


La vicenda di Eluana Englaro ha riacceso ancora di più la discussione sulla legge che il Parlamento dovrebbe approvare sul testamento biologico.
Il dramma di Piergiorgio Welby aveva del resto già scosso le coscienze e posto all'attenzione pubblica una gravissima lacuna legislativa nell'usufruire di un diritto che ognuno, se lo ritiene, deve poter esercitare in piena consapevolezza.
Il grave ritardo rispetto ad altri paesi europei non sembra tuttavia turbare più di tanto la gran parte dei nostri politici che si vedono, loro malgrado, costretti a legiferare su una questione scabrosa e sulla quale preferirebbero non prendere posizione. E se ne comprendono le ragioni quando l'acquiescenza ad un potere religioso raggiunge livelli tali che interi gruppi politici non riescono ad avere un minimo sussulto di autonomia su un tema in cui il diritto del singolo non dovrebbe dare adito a controversie di alcun genere.In questo senso, essi vengono meno al loro ruolo di tutela e digaranzia verso chi ha un diverso approccio con la morte e anche, mi permetto di aggiungere, con la vita.
Aggrappandosi a soggettivi postulati teologici, di fatto, negano ogni libero esercizio di un diritto che non lede, né conculca, quello di nessun altro. Decidere della propria vita quando le condizioni sono tali che la sofferenza, una prospettiva infausta o semplicemente un accanimento terapeutico insensato la rendono insopportabile, è niente di più che una manifestazione estrema della propria libertà di scelta.
Per venire al mondo nessuno ha chiesto il nostro parere, perché dobbiamo chiederlo anche per andarcene se non ci vogliamo più stare? Se una persona in piena lucidità è determinata a porre fine ai suoi giorni, chi siamo noi, intesi come collettività, per negarle questa possiblità? Chi ha l'autorità per farlo? Lo Stato con le sue leggi scritte e imposte a maggioranza? Ma la minoranza con le sue legittime istanze, chi la rappresenta, chi la difende? E che ne sappiamo noi della vita e della morte per atteggiarci a giudici implacabili? Che ne sappiano della sofferenza e della sua intensità quando riguarda un altro? Se riconosciamo il diritto a vivere la nostra vita come vogliamo e sentiamo, perchè quello stesso diritto ci è negato per la morte, la nostra unica e ineluttabile certezza dell'esistenza?
Accettare, anzi volere la morte significa esprimere la massima libertà interiore di cui un individuo è responsabilmente portatore.
Certo, non tutti sono capaci di affrontare l'atto conclusivo - come del resto la vita - a viso aperto e con coraggio.
Non c'è dubbio che ogni uomo è un mondo a sé e come tale va considerato. Eppure se siamo così diversi per cultura, educazione, valori e per gli accidenti che ci troviamo a dover affrontare, almeno il denominatore comune del rispetto e della tolleranza reciproca dovrebbe essere riconosciuto come un diritto inviolabile.
Una società che si ritenga civile non può quindi negare ai suoi cittadini una norma come il testamento biologico che consente l'elementare rispetto della libera volontà del singolo.
Nei fatti, la libertà di scelta non ne è che la logica conseguenza, ma è proprio questo che viene contestato. D'altro canto, contro ogni legge dinatura, i progressi recenti della medicina hanno allungato ancora dipiù il momento del distacco dal mondo; ma è difficile vedere in questo accanimento una conquista quando mezzi meccanici ultrasofisticati mantengono artificialmente in vita le funzioni di un organismo che di umano ha davvero poco se non il suo simulacro. Raggiunto questo stadio, l'individuo è privato della coscienza e dell'emotività, e con esse anche della dignità che però, per taluni, non pare un valore da difendere ad ogni costo. E così al giusto riconoscimento di una vita dignitosa- almeno in via di principio - non corrisponde affatto - eugualmente in via di principio - quello della morte dignitosa.
Eppure la storia è piena di suicidi e di testimonianze individuali o collettive che si sono concluse con la morte piuttosto che venir meno ai princìpi in cui si credeva fermamente. Si è preferito morire pur di non perdere la dignità e il rispetto di se stessi. Nel primo canto del Purgatorio, Dante Alighieri lascia che Catone Uticense si presenti dicendo "libertà vo' cercando, ch'è sì cara, come sà chi per lei vita refiuta".............E se questa è stata la scelta di persone consapevoli che hanno agito in piena libertà, è giusto che sia stato così. Ma in certe circostanze tutto è consentito, mentre non lo è per altre.
La vita di estremo, totale dolore evidentemente non ha niente di eroico se non il dolore fine a se stesso, e che come tale va sempre e comunque sopportato. Per chi non ha una visione religiosa della vita, non si capiscono le ragioni di un atteggiamento tanto caparbio quanto cavilloso.
Ma è lecito avere dei dubbi o rifiutare del tutto una simile concezione? Nel nostro paese evidentemente no. Si è sicuri, anzi sicurissimi su tutto e su tutti e questo si vuole imporre per uniformare le coscienze a un unico modello di pensiero. In buona sostanza, basta esigere il semplice rispetto della propria volontà perché si sia accusati alla stregua di egoisti capricciosi se non proprio come amorali scardinatori dell'etica pubblica.
Il concetto generale di un esproprio totale è d'altronde reso esplicito quasi con fastidio tirando in ballo Dio come armadefinitiva: 'La tua vita non è tua, è di Dio e non si discute'. In casi specifici e per quanto si cerchi, è difficile trovare della misericordia cristiana, quella misericordia che con la solita doppia morale è magari praticata al riparo da occhi indiscreti in altre sedie in altre situazioni; quello che si percepisce allora non è altro che una stridente contraddizione tra un sentimento di com-passione, cioè del patire insieme, e del suo opposto inteso nel dover subire le conseguenze di un degradante strazio fisico e psicologico fino all'ultimo anche al di là di ogni ragionevole sopportazione. E sì che parliamo di esseri umani terribilmente sofferenti che implorano nulla di più che una solidale e terrena pietà umana.
Per mettere la parola 'fine' a un contenzioso di così grande impatto emotivo per l'opinione pubblica, la nuova legge dovrebbe quindi stabilire una volta per tutte concetti chiari e incontrovertibili per non essere interpretata in modo contraddittorio. Ma non è quello che si prepara.
Le dichiarazioni di esponenti del governo in quest'ultimo periodo non lasciano presagire nulla di buono. L'autoderminazione libera e senza vincoli non è contemplata nelle bozze di testo finora discusse. E' evidente che la futura regolamentazione pone limitazioni tali da restringere il pieno diritto di una persona a scegliere, previa richiesta dimostrata, Il proprio destino nel caso gli fosse impedito di esprimere coscientemente la propria volontà.
La libertà è subordinata ad altri soggetti che decideranno per lui sul filo dei cavilli. E qui salta agli occhi una singolarità tutta italiana nel rivendicare a ogni pié sospinto qualsiasi forma di libertà e poi negare proprio quella che non interferisce nel modo più assoluto nei confronti degli altri. Come se non bastasse, la stranezza di partiti che hanno la parola 'libertà' nel loro nome e poi nei fatti la negano, aggiunge un tocco di schizofrenia al già complicato quadro politico del nostro paese. Altra singolarità, il liberalismo occidentale, del quale fino a prova contraria dovremmo far parte, che privilegia la laicità e l'individuo rispetto allo Stato rinuncia alle sue prerogative storiche e culturali e si appiattisce su posizioni ideologiche ultraconservatrici. E tutto con buona pace della coerenza e del rispetto per chi la pensa diversamente.
D'altra parte, è improbo aspettarsi qualcosa da chi ha rifiutato al povero Welby una funzione religiosa, ma ci si è guardati bene dal fare altrettanto con persone che evidentemente meritavano un trattamento consono al loro stile di vita. Per quanto ci si pensi ci sfugge il gesto pietoso che ha consentito a Enrico De Pedis, detto 'Renatino', di riposare nella cripta della basilica romana di sant'Apollinare in virtù di un privilegio che cozza perfino coldiritto canonico. E' paradossale e incomprensibile che questocriminale, efferato capo della famigerata banda della Magliana ucciso nel 1990, abbia avuto questo onore passando anche per benefattore.
Ma così vanno le cose in Italia.

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